Articolo sul n. 62 di “Dirigenza Nuova”, Dicembre 2000.

 

Sono passati circa quattro mesi da quando, insieme agli altri titolari degli Uffici di Vigilanza delle Filiali, fui convocato a Vermicino per una due giorni molto interessante su varie tematiche di lavoro.

Il secondo giorno avemmo l’onore della visita del signor Direttore Generale, dott. Finocchiaro.

Ho ancora nelle orecchie l’eco di quanto ci disse il dott. Finocchiaro nell’occasione.

Ci preannunciò il prossimo arrivo nelle filiali di una lettera in materia di nuovi compiti e, con apprezzata correttezza nei confronti delle Direzioni, non ci anticipò alcun contenuto della stessa, ma si limitò a lanciarci due messaggi. Ci disse che noi capi ufficio di vigilanza saremmo stati chiamati ad un maggiore impegno. Impegno dal quale, su richiesta, ci saremmo anche potuti sottrarre, assumendocene ovviamente le conseguenze. Soggiunse che la lettera doveva “essere letta tra le righe” per interpretarne i contenuti non espressi.

Da allora qualche nuovo compito è stato già attivato ed io, come molti miei colleghi, mi sento positivamente coinvolto dal maggiore impegno richiesto, avendo offerto un personale e convinto contributo sia nell’addestramento di base dei colleghi non addetti alla vigilanza sia alle altre attività a cui sin qui è stato dato impulso.

E, tuttavia, quelle parole del dott. Finocchiaro, ora che, come i miei colleghi,  sono un po’ sotto pressione, mi tornano sempre alla mente e mi lasciano un tantino dubbioso.

Il motivo del mio disappunto nasce da una domanda: posto che l’impegno dei capi ufficio di vigilanza nell’attrezzarsi per sviluppare i nuovi compiti delle Filiali c’è, la restante parte dell’Istituto il suo impegno ce lo vuol mettere o no?

E dunque, se si hanno, come si hanno, strumenti per valutare, seppur in modo relativo, i carichi di lavoro dei diversi settori, e se, come sta avvenendo, c’è un travaso di impegni da settori ad altri, vogliamo dar luogo anche al travaso di risorse, sia umane che tecniche?

E, possibilmente, questo travaso può avvenire prima che accada che per affrontare i nuovi compiti, che in modo autonomo ci siamo attribuiti, si rischi di presidiare meno quelli già affidatici istituzionalmente?

E si badi, non è un problema locale, ma generale.

All’interno dell’Istituto è abbastanza diffusa l’opinione che mettere in evidenza i problemi (al fine di avviarli a soluzione)  piuttosto che cercare di nasconderli sia tre volte deleterio.

Primo, perché sarebbe indicativo di un mancato “allineamento”.

Secondo, perché costringerebbe, in qualche caso, a ritornare su decisioni prese ad un certo livello (e, a certi livelli, a seconda di come la si vuol mettere, o non si può sbagliare perché si è esenti da errori; oppure bisogna andare avanti lo stesso perché non “deporrebbe” bene cambiare opinione).

Terzo motivo, perché il risolvere alcuni problemi comporterebbe l’onere di dover gestire delle posizioni di comodo, consolidate, di alcuni gruppi o categorie del personale.

Lo scopo di questa mia riflessione pubblica è quello di fornire un contributo fattivo affinché nell’ampliare i nuovi compiti delle filiali sia data la dovuta importanza all’urgente  potenziamento dell’assetto organizzativo degli uffici di vigilanza; specie se si tiene conto che questo ampliamento avviene in un momento di grandi mutamenti culturali nel campo dell’intermediazione creditizia e finanziaria ed in un contesto di turnover abbastanza elevato degli addetti a tali uffici.

In un contesto, quale quello attuale, caratterizzato tra l’altro da vincoli di bilancio e di rendicontazione alle Autorità comunitarie, non si può più continuare ad adottare il sistema che sin qui è stato vincente: attribuire a tutte le questioni medesima serietà e importanza.

Si impone la necessità di adottare una scala dei valori e delle priorità (ovviamente non rigida e statica) che, se deve continuare ad affrontare con serietà tutte le questioni, deve però graduare l’importanza e la destinazione delle risorse in funzione del valore attribuito alle varie problematiche.

In caso contrario, si registreranno risorse sovrabbondanti in settori marginali e al contrario limitate in quelli più strategici e, conseguentemente, si potranno determinare serie inefficienze.

 Un altro aspetto su cui, nell’occasione, vorrei invitare alla riflessione, è riferito al fatto che  in una comunicazione aziendale interna si debba  “leggere tra le righe”.

Qui non voglio fare tanto una critica al dott. Finocchiaro che, probabilmente, ha usato questa espressione in un particolare e limitato contesto.

Quello che voglio porre in evidenza è che anche quest’altra modalità gestionale, propria della cultura del nostro Istituto, mi sembra superata.

Capisco l’esigenza di esprimersi con prudenza, di misurare le parole; di usare, talvolta,  metodi indiretti piuttosto che diretti per ottenere un risultato. E questo lo condivido.

Tuttavia, una qualunque organizzazione in cui per definizione il sistema di comunicazioni interne non è chiaro, efficace e possibilmente univoco è, per definizione, connotata da inefficienze. Essa denota spreco di risorse, alimenta comportamenti ambigui, non tende all’attribuzione e all’assunzione di responsabilità, determina un sistema premiante non coerente con il raggiungimento degli obiettivi aziendali e, in definitiva, produce una cultura aziendale tesa alla deresponsabilizzazione e al formalismo.

Non ritengo necessarie rivoluzioni.

Si tratta semplicemente di tendere progressivamente e con effettività – senza eccessi e patemi – verso un’ottica di sana produttività.

Si tratta quindi, nel pieno rispetto delle persone, di cominciare a chiamare le cose con il loro proprio nome; di riconoscere i meriti sulla base dell’impegno misurabile e concreto; di cominciare ad assumere decisioni sulla base di valutazioni più tecniche e meno politiche; di definire con chiarezza e avere davanti a sé gli obiettivi che si vogliono raggiungere.

In altre parole, si tratta di promuovere una cultura aziendale che allo stesso tempo sia tesa a migliorare il livello di efficienza nonché ad elevare il livello di coinvolgimento e di soddisfazione delle persone che operano nel nostro Istituto.

 

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