Mozzarella.

 

Il lavoro di psichiatra?

Appartiene ormai al mio passato. Quelli che ora si chiamano istituti d’igiene mentale, allora si chiamavano manicomi e i pazienti che vi erano ricoverati semplicemente pazzi.

C’è ancora molto da scoprire sulle malattie mentali. Nel tempo mi sono convinto che ne esistono due filoni principali, non sempre ben distinti.

Nel primo gruppo la malattia deriva da uno sviluppo mentale anomalo per circostanze legate all’ambiente. Nell’infanzia, nella fanciullezza o in gioventù questi individui hanno vissuto situazioni d’isolamento e il fondamentale processo di crescita proprio di quelle fasi è stato gravemente carente, sia con riferimento all’apprendimento sia, soprattutto, alla vita di relazione. Oppure si tratta di soggetti che hanno vissuto esperienze drammatiche; sebbene ci sia da precisare che i livelli di percezione e di sensibilità siano personali e, pertanto, un medesimo evento può lasciare negli individui strascichi molto differenti.

Per questi ammalati la cura dovrebbe tendere, con molta pazienza e gradualità, a ridurre le deficienze cognitive accumulate; per i soggetti traumatizzati, inoltre, si dovrebbe cercare di attenuare il ricordo delle esperienze passate facendo loro sperimentare situazioni di vita realmente positive.

Certo, solo in una minoranza di casi si arriva alla normalità, ma comunque si otterrebbero dei miglioramenti. Per questo gruppo d’individui il contatto con la vita reale dovrebbe essere progressivo e tenuto sotto stretto monitoraggio, fino a quando non diventano sufficienti l’autonomia e la capacità di autocontrollo.

Il secondo filone di malati è costituito da quelli che hanno deficit cerebrali fisici. Per motivi diversi la loro massa cerebrale ha subito uno sviluppo incompleto o mutamenti delle caratteristiche fisico-chimiche, che determinano un funzionamento anomalo di quella parte del cervello che presiede alla padronanza, alla gestione e al controllo di se stessi. Per queste situazioni c’è ancora poco da fare, se non somministrare tranquillanti. Bisognerebbe orientare la ricerca a capire meglio il funzionamento del cervello per discernere quali sono le cause del deterioramento funzionale. Solo in seguito potranno essere individuati i farmaci selettivi con cui rimuovere, delimitare o impedire le sintomatologie più importanti. 

Quante persone ho esaminato nella mia lunga carriera! Con le conoscenze del tempo le guarigioni complete erano veramente rare.

Mi chiedi di qualche caso particolare? I pazzi, come i sani, sono uno differente dall’altro; anzi, essendo essi meno inquadrati, le loro diversità sono ancora più accentuate che negli individui normali.

Ricordo tuttavia un bel tipo. Lo chiamavano “Mozzarella” perché era nato a Battipaglia, il Comune in cui s’è sviluppata originariamente la produzione della mozzarella di bufala.

Quando me lo sottoposero, era già ricoverato da diverso tempo e, pur avendo un aspetto dignitoso, oramai si era chiuso in se stesso e non parlava più con nessuno. Il suo caso m’incuriosì e cercai di approfondirlo, esaminando accuratamente le conclusioni degli altri colleghi: tutte evidenziavano l’impossibilità di poter comunicare con lui. Egli non voleva più avere relazione con il mondo esterno, che rifiutava, limitando il contatto solo ai pasti, che assumeva senza scambiare una parola con nessuno.

Spulciando fra le cartelle cliniche, finalmente trovai alcuni spunti interessanti: “I suoi ragionamenti si sviluppano sul sottile confine tra stravaganza e genialità”; “Sembra una persona normale fino a quando non si fanno richiami al diritto, alle leggi e alla giustizia” e “In tal caso gli va il sangue al cervello, gli si gonfiano le vene ed esplode in episodi di violenza, distruggendo tutto quello che gli capita a tiro”; “Non risulta che abbia mai aggredito qualcuno”.

La sua devianza si era manifestata violentemente per la prima volta in un’aula universitaria. Mentre frequentava una lezione di Diritto, si mise a contraddire violentemente il professore, provocando un gran subbuglio: dovettero intervenire prima i carabinieri e poi gli infermieri con la camicia di forza. In precedenza, però, aveva mostrato dei segnali: pur avendo una buona elasticità mentale, quando si parlava di diritto, diventava rigido e inflessibile ed esponeva con fervore le proprie convinzioni personali senza ammettere obiezioni.

Esaminata la storia clinica, cominciai a studiare una strategia di lungo periodo per cercare di fare breccia nel mutismo in cui si era chiuso. Cominciai a fissare delle sedute, prima molto diradate poi più frequenti, in cui cercai unicamente di metterlo a suo agio.

Innanzitutto pensai che sarebbe stato meglio presentarmi senza indossare il camice. Individuai, poi, un luogo appartato da dove si potesse vedere il bel parco alberato dell’istituto, e vi feci collocare due sedie distanti circa una settantina di centimetri. Lì, uno al fianco dell’altro osservavamo cosa accedeva fuori dalla finestra, mentre a basso volume ascoltavamo della gradevole musica da film. Dopo qualche incontro cominciai a tirare fuori una tavoletta di cioccolato gianduia con le nocciole intere e, offrendogliene la metà, la sgranocchiavamo insieme.

Nel tempo cominciai progressivamente a spostare la posizione delle sedie finché non furono una di fronte all’altra, con la veduta di lato. Ancora più tardi, cominciai a osservarlo, mentre anche lui mi scrutava, fin quando un giorno potei fissarlo in volto e poi negli occhi. Fu una fase lunga e delicata: i suoi occhi si defilavano dai miei come delle schegge. Ci volle ancora un lungo periodo prima che riuscissi ad acquistare la sua fiducia: erano passati più di quattro anni!

Cominciammo a colloquiare, ma stavo molto attento a non urtare la sua suscettibilità e a capire il suo punto di vista. Lo ascoltavo con interesse, cercando di accantonare completamente il mio ruolo.

Un giorno mi sembrò che fosse giunto il momento di osare: durante una seduta, dopo averlo ascoltato lungamente e con calma, gli chiesi se avessi potuto sottoporgli un documento. Acconsentì. Gli mostrai una “Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana”, chiedendogli di leggerla e di riferirmi cosa ne pensasse.

Come la vide cambiò espressione. Diede una rapida scorsa e, man mano che la sfogliava, s’irrigidiva e il suo viso diventava sempre più livido. A un certo punto non ne poté più e, dopo avermi lanciato uno sguardo torvo, la strappò e la ridusse in mille pezzettini, che sparse per la stanza.

Mantenni lo sguardo basso per non incrociare il suo, mantenni la calma e , in silenzio, assunsi un atteggiamento tale da fargli capire che non condannavo la sua reazione.

Lo lasciai sbollire qualche minuto, tirai dal cassetto il solito gianduia con le nocciole e gliene offrii un bel pezzo. Mentre ancora masticavamo, gliela buttai lì: “Ma cos’è che non va?”. “Cosa c’è di sbagliato?”. 

Mozzarella mi fulminò: “E me lo chiedi pure?”. “Tu sei un dottore, una persona colta, e non te ne accorgi?”. “Non vedi che i provvedimenti che vi sono pubblicati sono poco chiari e che sono fatti per non far capir niente?”. “E’ sbagliata dall’inizio alla fine! E considera che sono decine di anni che passa sotto gli occhi di migliaia di persone, tra cui addetti ai lavori, professionisti e cattedratici!”.

Egli aveva pronunciato le sue sentenze tutte di un fiato, come se avessi tolto il tappo a una bottiglia di spumante.

Rimasi ancora in silenziosa attesa e ripresi: “Mettiamo che io sia in buona fede e non mi accorga di quello che per te è invece ovvio”. “Potresti scrivere su qualche foglio quali sono le cose che non vanno?”. “Ti lascio tutto il tempo che vuoi!”.

Non mi rispose, era ancora alterato, ma mi sembrò di cogliere nel suo volto accigliato un barlume di possibilità. Era contrastato ma, tuttavia, mostrava una sorta di considerazione verso di me.

C’incrociammo dopo circa un mese nel corridoio e, furtivamente, mi consegnò uno scritto compilato di suo pugno.

Se aspetti un momento, te ne mostro una copia. L’ho conservata perché la calligrafia esprime, oltre che i concetti, i diversi stati d’animo dell’autore.

Come puoi vedere la scrittura è irregolare, i caratteri sono ora grandi ora piccoli, i tratti di penna lievi o marcati. Nei tratti marcati, in particolare, sembra come se la penna, invece di essere tenuta delicatamente fra le dita, sia stata nervosamente usata tenendola in mezzo al palmo della mano. Ci sono poi molte correzioni, con tratti di penna decisi, che dimostrano il disagio di chi scrive nell’esporre in maniera piana e lineare. Si tratta però di correzioni grammaticali o lessicali, i concetti sono espressi in maniera chiara, concisa e inequivocabile.

“Caro dottore, mi ha chiesto di segnalarle cosa c’è che non va nella gazzetta ufficiale.

 Nessuno sa meglio di lei che io sono pazzo e perciò brevemente e senza perdere tempo le ho messo giù quello che non va.

Non è compito mio proporre le soluzioni in dettaglio. C’è gente pagata lautamente per individuarle! 

La situazione è grave perché nasce da un’errata filosofia di fondo: la preservazione della legge e della Giustizia in quanto tali, come valori a se stanti. E’ sbagliato! Ancor più se si considera che un’impostazione sbagliata è molto più dannosa di un errore casuale.

La Legge per se stessa non ha alcun valore. Si tratta di un’accozzaglia di norme scritte in epoche diverse e talvolta remote, sollecitate da centri d’interesse e di potere diversi, redatte in maniera confusa e scoordinata.

Le leggi hanno un valore civile e morale inestimabile solo se sono funzionali a raggiungere il loro obiettivo.

E l’obiettivo principale, il fine ultimo, è quello di: esercitare la Giustizia in funzione del miglioramento della convivenza sociale. Ciò che si pone al di fuori di questo principio è sbagliato e senza senso.

La Giustizia - e con essa i politici, la magistratura, gli avvocati, i cattedratici e gli studiosi - ha da tempo imboccato una strada sbagliata. I cultori del diritto sono capaci di scrivere migliaia di pagine per commentare, sminuzzare, contestare, difendere, argomentare e interpretare una norma o un cavillo piuttosto che non le dieci righe necessarie per aggiornarla e renderla più chiara e inequivocabile.

Gli addetti ai lavori non si adoperano per soddisfare gli scopi per cui è nato il concetto di Giustizia e pensano esclusivamente a tutelare e a difendere interessi singoli e corporativi.

Nella storia umana, alla fine, tutti i tipi di Stato e i sistemi di governo hanno fallito, compresa la democrazia. E quando ciò è avvenuto, non è dipeso dalla forma di stato o di governo quanto, piuttosto, perché in essi era venuta meno l’equità ed era fallita la Giustizia!

Le leggi devono essere chiare e comprensibili, essendo un onere del legislatore rendere quanto più semplice possibile la loro applicabilità. I provvedimenti non devono mai contenere rimandi ad altre norme né consistere di modifiche di singoli articoli: bisogna sempre procedere alla ripubblicazione integrale del testo della legge modificata.

Tutti i provvedimenti devono essere sempre preceduti da un preambolo che deve indicare quali sono gli obiettivi del provvedimento. Di tale preambolo devono tener conto sia i cittadini per adeguare i loro comportamenti nel tempo sia i Magistrati, specie nel giudicare i casi più controversi.

Un’apposita funzione statale deve verificare periodicamente nel tempo la validità dei testi regolamentari suggerendo la modifica, l’integrazione o l’abrogazione delle norme desuete.

I provvedimenti devono sempre terminare con istruzioni applicative e con riferimenti alle norme abrogate. Devono essere sempre previste sanzioni, per i casi d’inosservanza, che devono essere correlate all’importanza dell’obiettivo espresso nel preambolo e coerenti, quanto a criteri di equità, con il rimanente sistema sanzionatorio.

In caso di modifiche devono sempre essere riviste anche l’attualità del preambolo, le norme applicative e le sanzioni.

Nella Gazzetta ufficiale devono essere pubblicati solo i provvedimenti legislativi, mentre per la pletora di ulteriori altri atti ivi inseriti devono essere previste altre forme di pubblicità.

L’Amministrazione della Giustizia, per quanto concerne la Magistratura e il funzionamento dei Tribunali, deve essere economicamente autonoma dal Governo. I Magistrati in servizio devono astenersi dall’attività politica, da qualunque altro esercizio retribuito o professionale e dagli scioperi. Gli stipendi dei Magistrati devono essere collegati ad altre funzioni statali, e correlati al rendimento sul servizio. Devono essere previsti adeguati controlli sia nell’esercizio della funzione giudicante (da parte del Consiglio Superiore della Magistratura) sia nel corretto esercizio della spesa (Corte dei Conti). In generale, nell’apparato statale nessuna funzione deve essere priva di controllo da parte di altro organo; nemmeno le strutture deputate ai controlli!!!       

Gli avvocati devono collaborare con i Magistrati nell’amministrazione della Giustizia e, dunque, devono essere aspramente penalizzati quei professionisti che, speculando su cavilli legali o stravolgendo artatamente i fatti, ostacolano il corso della Giustizia e fanno sì che soccombano gli onesti e le persone in buona fede. Oppure fanno sì che, nei delitti penali, i colpevoli non subiscano una giusta condanna.

Il compenso degli avvocati deve essere totalmente differente a seconda che si vincano o perdano le cause.

Le pene devono essere severe, immediate e limitate nel tempo, in rapporto alla portata del reato e della recidività. Esse devono tendere effettivamente al reinserimento nell’organizzazione sociale dei detenuti e, pertanto, non possono mai consistere nella mera carcerazione. I detenuti devono svolgere all’interno delle carceri, e in casi limitati anche all’esterno, un’attività lavorativa con la quale pagarsi le spese per i pasti e il soggiorno in galera. Deve essere attuato un apposito monitoraggio periodico per verificare l’efficienza complessiva del sistema carcerario.

Le condanne penali devono essere sempre accompagnate da una pena pecuniaria, oltre all’assoggettamento a tassazione dei proventi delle attività illecite e al sequestro dei beni con essi acquistati. Una parte dei proventi recuperati deve essere destinata al reinserimento nel tessuto sociale dei delinquenti e per altri scopi di Giustizia.

Nel caso di condanne penali relative a organizzazioni criminali e quando i proventi illeciti siano stati fonte di reddito per terze persone ignare, deve essere prevista un’apposita azione per evitare che a queste vengano a mancare le fonti di reddito.

Infine, in qualunque Stato civile, non deve mai succedere che un cittadino debba iniziare un’attività illegale, per indisponibilità di lavoro onesto. 

Firmato: Muzzarello pazz’”.

 

Feci diverse copie del documento e lo sottoposi ad amici Giuristi, Magistrati, Avvocati e Politici.

Nel frattempo cominciai anch’io a leggerlo e rileggerlo, spulciandolo con calma.

Ancora non avevo finito la mia disamina che già era di ritorno il giudizio unanime degli amici esperti: “Si tratta di uno scriteriato, di un pazzo!”.

La circostanza corrispondeva al vero: Mozzarella era rinchiuso in manicomio! Non so se la loro valutazione fosse stata influenzata dal fatto che il parere gli fosse stato richiesto da uno psichiatra, ma l’esito era in ogni caso inequivocabile. D’altronde anche la mia diagnosi si andava orientando verso una fortissima dissociazione del paziente dal contesto reale e dall’evidenza: una sola persona che confutava lo storico impegno di centinaia, forse migliaia di esperti e professionisti!

Decisi, come per i casi più dubbi, di lasciar trascorrere un po’ di tempo prima di pervenire a una conclusione definitiva. In tali casi, per avere una successiva conferma, sottoponevo le mie ipotesi al teorema che espresse mio padre nel giorno in cui mi avviai all’esercizio della professione: “Ora che sei diventato un medico dei pazzi, non dimenticare mai che la vera pazzia si alimenta con il rifiutare la più chiara evidenza e con la rinunzia a esercitare il buon senso”.

Quando qualche tempo dopo completai la mia indagine, giunsi a un’aberrante conclusione, che non riportai nei documenti ufficiali, anche perché non sarebbe servito a nulla. Tanto Mozzarella non sarebbe guarito mai e, comunque, nessuno mai gli avrebbe dato credito. In ciò ebbi l’avallo di un solo amico, luminare del Diritto, che tuttavia ci tenne a comunicarmi il suo parere su un foglietto anonimo: “Se chi ha scritto queste sconclusionate considerazioni, è pazzo, la sua pazzia consiste nell’essere innamorato della Giustizia molto, molto di più, di noi esperti”.

La conclusione cui giunsi alla fine fu la seguente: “Mozzarella non è pazzo”. “E se in lui c’è una qualche forma di dissociazione e di pazzia, esse sono legate all’impossibilità di vedere realizzata la Giustizia e la Legalità”.

All’epoca mi trovai nell’assurda condizione di dover certificare che il pazzo non era il paziente, ma il mondo esterno.

Certamente le sue idee erano espresse in modo balzano e confuso, ma esse avevano un fondamento di verità e, soprattutto, erano più concrete di tanti inutili e ipocriti teoremi professionali.

Il paziente era uscito fuori dal senno o, meglio, dava in escandescenze quando si toccava l’argomento a lui più caro, perché quello che per lui era sacrosanta verità veniva sistematicamente rifiutato dagli altri o per interesse o per mancanza di onestà intellettuale!

Probabilmente sarebbe bastato che in gioventù qualcuno avesse cercato di ascoltarlo e gli avesse insegnato a distinguere quanto delle sue potenzialità era da attribuire all’esuberanza del carattere, e dunque doveva essere scartato, e quanto alle sue straordinarie capacità intuitive, e quindi meritava di essere incanalato in una comunicazione appropriata per essere accettata dagli interlocutori.

Insomma, Mozzarella era diventato “pazzo” semplicemente perché non era riuscito a sintonizzarsi con il mondo esterno e a realizzarsi in quella che era la sua più innata caratteristica: precorrere i tempi con una visione obiettiva e imparziale del fondamento della convivenza umana, la giustizia.

Prescrissi l’eliminazione di tutti i farmaci e che assolutamente Mozzarella non fosse interessato in questioni attinenti le leggi o il diritto. Non guarì, ma visse in maniera più soddisfacente: aveva accantonato definitivamente la possibilità di vedere realizzato il suo più grande (e legittimo) sogno.

 

Febbraio 2010                                                                                                       

 

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