Lavoro e libertà.

 

Ho addosso come una frenesia, un qualcosa che non mi fa stare nella pelle. Devo fare qualcosa, andare da qualche parte. Non posso trattenermi! Sono mentalmente stanco, distrutto.

Dopo che sul lavoro mi sto spremendo come un limone e prodigando senza risparmio, quell’odiosa prevaricazione del mio capo, che pure mi deve tanto, è insopportabile.

Il trattarmi non in maniera cordiale, come sempre, ma affermare come scienza infusa delle stronzate megagalattiche e pretendere che io le accolga supinamente, è inaccettabile! Gli ho detto che rispettavo la sua decisione, ma che non ero d’accordo. Crearmi problemi per un apparecchio telefonico da assegnare a nuovo collega del mio ufficio, dove il telefono è uno strumento di lavoro indispensabile, è assurdo! Già è incomprensibile che per una dotazione del genere non possa decidere il capufficio in piena autonomia. I colleghi della Direzione Generale non hanno ancora capito che valutare l’affidabilità delle persone, la cui infedeltà costerebbe molto cara, è molto più economico che intervenire su questioni irrisorie!

Mentre in altri uffici ci sono dei telefoni inutilizzati, unicamente come status simbol, mancano laddove sono effettivi strumenti di lavoro.

Ho l’impressione che il capo si sia ingelosito e che qualcuno gli deve aver fatto notare di avermi dato troppo spazio: nell’organizzazione della prossima riunione con degli esponenti esterni non ha tenuto in minimo conto il lavoro predisposto dal mio ufficio e mi ha dettato confusamente un pro-memoria in cui l’unica cosa sicura è che sarà lui il protagonista, mettendo in secondo piano gli obiettivi che si sarebbero potuti cogliere.

Questo accade sovente quando chi deve assumere decisioni non è chi rischia di tasca propria, oppure quando non si deve rendere conto in maniera  puntuale del proprio operato.

Il fatto che sia venerdì non mi consola perché è tutta la settimana che stiamo scoppiando di lavoro e, come il solito, sono uscito dall’ufficio a tarda sera. Questo rifiuto non lo meritavamo. Non si tratta tanto del singolo episodio quanto del frapporci ostacoli allo svolgimento del lavoro; oltre a quelli che già abbiamo!  Invece di incoraggiarci a tener duro, per attenuare lo stress, ci frustra.

Non voglio andare a casa, ho bisogno di uscire, di fare qualcosa, di scomparire per un po’.

Ho necessità di uscire da tutto, da me stesso, di andare non so dove. So solo che devo farlo assolutamente.

Il cielo è squarciato da un fulmine improvviso, seguito dal rombo maestoso di un tuono. Strano, è il 22 novembre, di questi tempi la pioggia è normale ma non fulmini e tuoni.

Improvvisamente s’è scatenata una bufera, fino al punto che solo per entrare in auto mi sono mezzo inzuppato. La pioggia viene giù da far paura, accompagnata da lampi, saette e tuoni. Sembra voglia grandinare.

Non me ne frega niente. Vado lo stesso e avverto telefonicamente mia moglie di non aspettarmi e che mi farò sentire.

Ho acceso i fendinebbia e lo sbrinatore per disappannare i vetri: la visibilità è limitata e il traffico intenso e molto rallentato. Solo per uscire da Salerno ho impiegato quasi venti minuti. Ho imboccato la litoranea verso Battipaglia, ma proseguo oltre. Per la tanta pioggia qualche automobilista si è fermato a bordo della strada: a pochi metri dal mare non so se sia una buona idea. Al bivio della Spineta, continuo per Paestum per poi immettermi sulla superstrada per Sapri, puntando verso Ascea Marina. Vado su per la collina, supero Ascea paese, poi Pisciotta e continuo in direzione di Palinuro.

S’è fatto molto tardi. La pioggia è diventata meno violenta e ora cade abbondante e regolare. Per strada è un po’ che non incontro più nessuno.

Sarebbe ora di rientrare, ma voglio andare avanti.

S’intravvede Capo Palinuro e il faro, la cui scia luminosa si spande e si riflette sul mare seguendo il classico movimento rotatorio. A tratti, nel cielo coperto comincia a far capolino la luna, creando un paesaggio surreale di ombre e di riflessi argentei, mentre il mare è battuto da un forte vento.

Sento che non è Palinuro la mia meta, e proseguo verso Marina di Camerota.

E’ bellissimo guidare in questo totale isolamento, dopo che la violenza del maltempo si è in qualche modo calmata. Comincio a sbollire, ma non mi fermo. A Marina di Camerota, supero il porto e vado in direzione di Lentiscosa. Appena superata la prima curva, dopo il campo sportivo, mi butto sulla destra per la stradina che porta verso Monte di Luna. Le nuvole si sono diradate e sempre più spesso il chiarore della luna illumina il brullo paesaggio. Nel silenzio più totale vado su finché posso. Alla fine parcheggio l’auto e m’incammino a piedi, con circospezione, verso Punta Infreschi. Il lungo sentiero, pur illuminato dalla luna piena e anche ora che ha smesso completamente di piovere, non è né facile né agevole da percorrere; inoltre, in alcuni tratti è scivoloso per l’acqua caduta in abbondanza, ma non m’importa e proseguo.

Manca poco che, dopo essere incespicato, scivolo e cado rovinosamente. Non è del tutto sicuro continuare, ma la determinazione che mi sospinge si sta progressivamente attenuando. Devo arrivare fino alla meta, dove possa trovar pace.

Ormai sono più di due ore che cammino, pian piano la vista della collina lascia sempre più spazio a quella del mare. Finalmente arrivo alla chiesetta in cima al costone e si vede la Baia degli Infreschi nella sua incantevole bellezza.

La luce della luna si riflette con argentei bagliori nelle placide onde del mare, nel frattempo calmatosi. E’ silenzio assoluto: si ode solo il sommesso e ritmico rumore dell’acqua che accarezza dolcemente la piccola spiaggia, giù in basso. In alto nel cielo, ora quasi completamente sereno, sono apparse una quantità innumerevole di stelle. All’orizzonte, i limiti della baia, i resti delle torri d’avvistamento e il mare, a perdita di vista; fino ad immaginare la lontanissima Africa. 

La deliziosa cappellina è ovviamente chiusa, ma ugualmente si percepisce l’incomparabile unione fra la trascendenza del divino e l’armonia dell’universo. Mi rassereno completamente e mi sento appagato. Non c’è nessuno, nessuno che possa influenzare i moti della mia anima in una direzione diversa da quella squisitamente e intimamente propria.

E’ qui che il mio cuore e la mia mente si riappropriano del mio essere. Sono solo con me stesso, senza confusione, senza ipocrisia: solo con la bellezza negli occhi e nell’animo. Non sento la bramosia che ti agita con il desiderio, ma quella pienezza dell’essere che, appagandoti, spalanca tutti i tuoi sensi per lasciargli assaporare, anche se solo per poco, la grandezza della vita e dell’esistere. Grazie Dio!

E’ solo fuori da me stesso, fuori dai miei bisogni e dalle mie pulsioni; da occupazioni e preoccupazioni; lontano da chi continuamente pretende, tenendoti sotto pressione; lontano da tutti che, come gli antichi dalla sommità delle loro piramidi spirituali, io riesco a percepire, immergendomi nell’immensità dell’universo, l’incomparabile bellezza della Tua realtà, o Dio!

Vorrei fermarmi per sempre qui. Aspetterò l’alba. Ormai manca poco.

Fermarmi qui? E la relazione con gli altri, a cominciare da quelli più prossimi?

Se anche non volessi dar conto agli altri, dovrei misurarmi con il tuo Amore, Signore!

Con Te, che hai detto: “Non temete chi uccide il corpo ma non può uccidere l’anima”. Questa gente però, Signore, non mira al corpo. Oggi con poco denaro si possono comprare tutti i corpi che si vogliono: a pezzi, interi, in gestazione; teneri e delicati, di tutti i colori e le fogge. Questi mirano all’anima!

Vogliono fagocitarti la libertà di pensiero e d’essere; essi vogliono sottometterti alle loro iniquità e alle loro ingiustizie. E pretendono che tu dica bello e vero quello che è putridume e falsità. Vogliono cancellare la tua individualità perché canti all’unisono in un monotono coro. E’ tutto stabilito, spartito, melodia e note; in bocca vogliono metterti le loro parole.

A me questo canto non piace e mi procura fastidio e angoscia!

Eppure, nella corsa della vita, le loro proposte e i loro inganni mi prendono, anche se mi procurano agitazione e sete di possesso. Mi rapinano l’anima e le sue aspirazioni con le loro subdole seduzioni.

Seduzioni che riescono temporaneamente a tacitare il mio bisogno di vita, senza mai riuscire a soddisfarlo, senza mai appagarmi pienamente.  

E’ qui, in questa solitudine, in quest’assenza di contaminazione umana che ritrovo serenità. Qui dove nessun elemento della natura esercita forzature sull’altro, pur rivelandosi nella sua semplice ma straordinaria magnificenza.

E’ qui che nell’allargare le braccia, stendendole verso il cielo; nel gridarti: “Grazie” a squarciagola, senza temere di infastidire nessuno, che mi sento appagato e in pace sin nel profondo.

E’ solo qui che riesco ad amare la Terra e ogni sua creatura, a perdonare, amandoli, tutti gli esseri umani.

E’ tempo ora di sostare in silenzio. Anche i pensieri devono tacere, e la mente riposare. 

Comincia ad albeggiare. Lentamente il buio della notte comincia a schiarirsi, mentre il cielo si prepara a spargere la prima flebile pennellata di colore; poi i primi bagliori di luce.

Attimo per attimo è possibile seguire il succedersi di quest’incomparabile spettacolo di luce e di emozioni.

I raggi del sole riflessi sul mare, come deserte autostrade di luce che ogni tanto incontrano qualche ostacolo - ora uno scoglio, ora le morbide onde - poi l’indorarsi completo del mare, mentre la terra ancora rimane buia, e poi, ancora, ogni cosa che riassume progressivamente il suo colore più vivo.

Una vibrazione nel fianco mi fa sobbalzare.

E’ il telefonino. Mi ero dimenticato di averlo!

-- Pronto, Pronto. Sono Romilda, dove sei? Dove sei stato?

-- In Paradiso; ma ora sono tornato sulla terra.

-- Dove sei? Che dici?

-- Aspetta. Non parlare. Ti richiamo io.

E’ ora di rientrare nel mondo.

Io ci rientro perché Ti ho visto e Ti ho sentito; e ancora Ti rivedrò, o Dio. Aiutami a scoprirti anche in quelli che mi sono intorno e che incontro, perché lì è molto più difficile.

Ho baciato la terra. Ho chiamato mia moglie, le ho spiegato dov’ero e le ho detto che sarei stato a casa per l’ora di pranzo.

 

Pubblicato su www.ominda.it il 3 Aprile 2011  (Rivisto il 13 giugno 2014)

 

 

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